Il Mito della
Caverna
di Platone

“Pensa allora cosa succederebbe se fossero liberati dalle catene e guariti dall’ignoranza.”
(La Repubblica)

Platone, filosofo greco, scrisse la sua opera La Repubblica, considerata una pietra miliare, tra il 380 e il 370 a.C., nel periodo della sua maturità.

L’opera è divisa in dieci parti e nel Libro VII si trova l’oggetto della nostra riflessione: il Mito della Caverna.

Si tratta di una delle metafore più potenti concepite dalla filosofia, scritta oltre 2300 anni fa, che descrive l’eterna ricerca dell’umanità della verità universale. Ha ispirato, e continua a ispirare, innumerevoli riflessioni, poiché riunisce i più importanti fondamenti del pensiero filosofico di Platone, grazie ai quali egli ha conquistato un’identità storica.

Nel Mito della Caverna, il dialogo avviene tra Socrate — personaggio principale di tutta l’opera La Repubblica — e Glaucone, personaggio ispirato al fratello di Platone.

Mito della Caverna

Platone inizia il mito con Socrate che chiede a Glaucone di usare l’immaginazione:

– Socrate – “A questo punto, paragona la condizione della nostra natura, per quanto riguarda il sapere e l’ignoranza, a questa immagine. Immagina degli uomini chiusi in una dimora sotterranea a forma di caverna, il cui ingresso, aperto verso la luce, sia ampio quanto la caverna stessa; lì essi si trovano fin da fanciulli, con le gambe e il collo incatenati, sì, da non potersi muovere e da non poter guardare che davanti a sé.” (La Repubblica)

In tale condizione, questi uomini erano costretti a guardare solo una parete davanti a loro, in fondo alla caverna. La luce che arrivava era quella di un fuoco situato dietro e sopra di loro, lungo una salita. Tra loro e il fuoco c’era un muricciolo, simile al sipario che nasconde i burattinai durante uno spettacolo e sopra il quale fanno vedere i loro burattini.

Lungo il percorso, degli uomini trasportavano statuette che si vedevano da sopra il muricciolo. Alcuni di loro parlavano, altri camminavano in silenzio.

In questa situazione, i prigionieri incatenati vedevano solo le ombre di sé stessi e dei loro compagni proiettate, dal fuoco, sulla parete davanti a loro. Credevano inoltre che fossero reali le ombre degli oggetti e delle cose che sfilavano dietro il muricciolo.
A causa dell’eco nella caverna, credevano che i suoni uditi provenissero dalle ombre che passavano davanti a loro.

Succede che uno di questi prigionieri, guarito dalla sua ignoranza, si ritrova libero dalle catene e comincia a camminare verso la luce. I suoi occhi si confondono e non riesce a distinguere gli oggetti dalle loro ombre, il che lo disorienta. Distoglie lo sguardo per tornare alle cose che vedeva prima, che per lui erano più vere.


Affronta la salita ripida e difficile, e una volta fuori dalla caverna, ha bisogno di tempo per acclimatarsi. Ancora una volta, i suoi occhi sono abbagliati dalla luce. A mano a mano che si abitua, comincia a vedere chiaramente le ombre degli oggetti, poi le immagini riflesse nell’acqua e infine gli oggetti stessi.
All’inizio riesce a vedere più facilmente di notte i corpi celesti e il cielo, per poi contemplare il sole e la sua luce.

Conclude che è il Sole stesso a determinare le stagioni e gli anni, a governare tutto nel mondo, ed è la causa di tutto ciò che lui vedeva nella caverna con i suoi compagni. Ma decide di tornare:

 – Socrate – “Immagina ancora che quest’uomo ritorni nella caverna e riprenda il suo vecchio posto: non sarà forse accecato dalle tenebre dopo essersi allontanato improvvisamente dalla luce del Sole?” (La Repubblica)

Egli ricorda la sua prima dimora, la saggezza che lì si professa e coloro che sono stati suoi compagni di prigionia, e si rammarica per quelli che sono rimasti. Tornando nella caverna, riprende il suo vecchio posto, con gli occhi ciechi per l’oscurità, poiché si è allontanato dalla luce del Sole, dal chiarore esterno.

Riabituarsi all’oscurità richiede un tempo piuttosto lungo e ciò fa sì che gli altri ridano di lui, dicendo che, essendo salito lassù, è tornato con la vista danneggiata, perciò non vale la pena tentare di salire. E se cercasse di liberare qualcuno e condurlo in alto, questi lo ucciderebbe, se potesse.

Platone conclude il mito con Socrate che dice a Glaucone che bisogna applicare, punto per punto, questa immagine e confrontarla con il mondo in cui viviamo.

Significato Metaforico

Platone si serve della metafora per descrivere la condizione dell’umanità e la costante ricerca della conoscenza lungo il cammino evolutivo.

Il linguaggio dei miti è simbolico, tutto ha un significato. Attribuendo valore simbolico all’immagine e al mito come complemento del logos (ragione), Platone suggerisce di analizzare tutte le immagini, i personaggi e le figure, paragonando il mondo in cui viviamo con la vita di prigionia nella caverna.

Invitando l’interlocutore a immaginare la scena, Platone lo invita a percorrere il cammino, iniziando con il riconoscimento di chi egli sia all’interno della caverna, accertandosi se le catene, imposte dall’ambiente o autoimposte, lo tengano ancora legato.
Mostra che, in tale condizione, il prigioniero percepisce come realtà solo ombre imperfette di immagini proiettate e controllate dai padroni della caverna. La mancanza di conoscenza lo condiziona a essere dominato dal senso comune, a vivere in un mondo illusorio, confinato in una caverna oscura, credendo che quella è la realtà.

Il filosofo chiarisce che uscire dalla prigionia richiede impegno, poiché il percorso è lungo, ripido e arduo, ma possibile per tutti. È necessario il coraggio per spezzare le catene, superare le ombre e dirigersi verso la luce, affrontare la ripida salita, schiarire la vista e contemplare il Sole.
Una volta conquistata la libertà, l’uomo ha davanti a sé la possibilità di vivere in un mondo nuovo oppure di tornare nella caverna e aiutare coloro che sono ancora prigionieri dell’ignoranza.

Platone spiega come avviene la salita verso la regione esterna, superiore e luminosa:

“Non sarà certo un semplice gioco, rapido e fortuito. Si tratterà di operare la conversione dell’anima da un giorno tenebroso come la notte verso il giorno vero, cioè elevarla fino all’essere. Ed è a questo che daremo il nome di vera filosofia.” (La Repubblica)

Equipe Articoli del Dipartimento Culturale

 

Riferimenti:
Platone: La Repubblica.
Reale, G. – Antiseri D.: Storia della Filosofia: dall’Antichità al Medioevo.
https://revista.provida.net/interno-gregos-2021/7/
https://revista.provida.net/interno-gregos-2021/23/

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